venerdì 20 luglio 2012

"Altro che Itaca, qua è pieno di proci" - Adriano Scianca su Libero

"Altro che Itaca, qua è pieno di proci" - Adriano Scianca su Libero

Intervento di Adriano Scianca, responsabile cultura di CasaPound Italia, pubblicato su Libero di oggi, con il titolo "La nuova destra? Noi l'abbiamo già fatta da un po'"

Altro che Itaca, qua è pieno di proci. La battuta ci sta tutta e speriamo non si offendano i protagonisti del dibattito – peraltro interessante e non privo di spunti – che da qualche settimana vede gli intellettuali di destra chiamati a ridefinire un progetto comune e a ridefinirsi, in vista magari di un nuovo impegno (meta?)politico. Ogni segnale di vita, per carità, è meglio della stasi cimiteriale che da un po' regnava in certe lande. A patto che non di meri fuochi fatui si tratti. Non si scambi per disfattismo quella che è, o almeno vorrebbe essere, una visione disincantata e lucida della realtà. Guardiamoci intorno: dal punto di vista politico una destra normale, conservatrice, liberale, rispettabile, dal piglio anglosassone, in Italia non l'abbiamo mai avuta. Ma questa è l'unica buona notizia, perché per il resto il panorama lascia poco spazio alle speranze. E allora sembra ovvio evidenziare che il primo limite del progetto è proprio questo: non si convoca l'adunata di San Sepolcro quando sarebbe semmai il momento del processo di Verona. Fuor di metafora nostalgica: a noi, ragazzi della classe '80, qualcuno dovrà pur spiegarlo, un giorno, com'è che si sia giunti sin qui. Qualcuno, un domani, dovrà pur raccontare chi ci ha portato a questo punto, facendo nomi e tracciando responsabilità, senza la scappatoia del capro espiatorio, del Grande Traditore Unico in cui si concentrano, secondo una polarità demonologica, errori e orrori che sono invece collettivi e condivisi. Senza un chiarimento sereno e severo di questo tipo non ci potrà essere luce che illumini il percorso. Perché altrimenti il ritorno a Itaca rischia di essere semplicemente una ripartenza sul medesimo cammino, sbagli compresi. Del resto l'idea di un comune riappropriarsi della casa natale presuppone almeno che si sia d'accordo sull'indirizzo in cui ritrovarsi e sull'elenco di persone a cui recapitare l'invito. E invece così non è, a cominciare dalla stessa definizione di “destra”, che ad esempio chi scrive non ha mai utilizzato per definire se stesso e le sue idee. Ma per carità, anche il tormentone sull'andare oltre la destra ha un po' stufato, anche perché poi si tratta sempre di vedere dov'è che si vuole andare e con chi. Ma insomma, qualche coordinata sui contenuti alla fine bisognerà pur darla e lì la questione si ingarbuglia, e parecchio. Il dibattito culturale sul ritorno a Itaca ha poi il difetto di restare sospeso a mezz'aria, senza radici nella società civile e senza effetti sulla società politica. Ma se non si è, leninianamente, avanguardia di una qualche base né, gramscianamente, organici a un qualche principe, il rischio dell'autoreferenzialità diventa fortissimo. Insomma, a chi si sta parlando: alla classe politica di destra, al popolo italiano oppure a un sottobosco umano reduce di tutto e protagonista di nulla? Né la dinamica convegnistica e assembleare ci sembra possa ingenerare meccanismi virtuosi che portino all'emergere di nuove forze, idee, progetti. Se la Goldman Sachs ha pensato bene di confiscarcela, forse la democrazia qualche valore in politica ce l'ha davvero, ma nella cultura non funziona mai. Non ci si mette attorno a un tavolo scadenzando gli interventi per agitare le acque del dibattito, lo si fa e basta. Poi, se l'idea è valida, altri seguiranno la scia. Altrimenti si raggiungono solo sintesi intellettuali al ribasso, minimi comuni denominatori che per essere davvero comuni devono essere anche troppo minimi, con il corollario di infinite discussioni sul perché abbiamo perso la guerra. La fondazione di una città è un processo vivo, carnale, violento persino, se lo si prepara a tavolino ci si ritrova al massimo con un plastico. Poi ti guardi intorno e scopri che sei finito a “Porta a Porta”. Non è una bella sensazione. Tutto nero, quindi? Magari, semmai troppo poco. Il punto, piuttosto, è che mentre Ulisse ritrova la strada per Itaca, Telemaco è da un pezzo che si sta facendo il mazzo per difendere la casa, cacciare gli assedianti, tinteggiare le pareti e conquistare nuove terre. Ci perdonerà il sommo Omero, allora, se con licenza poetica cambiamo il finale, instaurando la repubblica senza attendere il ritorno del re. Il che non significa anarchia. Significa che, da oggi, a Itaca le regole cambiano. Da oggi, a Itaca, i galloni si conquistano sul campo.

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