E' arrivato il momento di Serbia-Italia. La squadra di Petrovic si gioca la qualificazione, ma in Italia imperversa la gestione dell'ordine pubblico con la vendita dei biglietti vietata dalla FIGC.
La partita sul campo passa quasi in secondo piano, i giornalisti serbi quasi si meravigliano per le tante domande sulla sicurezza che gli vengono rivolte. "Come mai tutto questo interesse?"
"Ma come? Non ricordi Ivan?" è la risposta più inflazionata.
La partita sul campo passa quasi in secondo piano, i giornalisti serbi quasi si meravigliano per le tante domande sulla sicurezza che gli vengono rivolte. "Come mai tutto questo interesse?"
"Ma come? Non ricordi Ivan?" è la risposta più inflazionata.
Ma cosa volete che interessi ad un paese della sicurezza di una partita, del divieto di sedersi sulla balaustra, quando in Serbia si sta sulle barricate ogni giorno? Una guerra ha devastato il paese, ha fatto riconosere al mondo lo stato fantoccio del Kosovo, una guerra di cui tutti portano i segni, un paese dove se capiti nel quartiere sbagliato con la targa sbagliata volano pallottole, e non parlo del medioevo, parlo del 2011.
Ma ecco che inizia la partita, l'inno Italiano è fischiatissimo, tanto da meravigliare i telecronisti, ma cosa vi aspettate che succeda a Belgrado durante l'inno di un paese che 10 anni fa ha fornito le basi alla Nato e ha bombardato proprio Belgrado? Cosa c'è da stupirsi? A quel tempo però non sventolava nessuna bandiera arcobaleno sui balconi. I pacifisti a gettone non batterono ciglio perchè una giustificazione alla guerra in fondo c'era: D'Alema era al governo. Sdegno.
E allora i fischi ci stanno a ricordare che solo in Italia si lecca il culo a chi ha bombardato Roma e San Lorenzo. In Serbia no, i Serbi ce l'hanno una dignità. Perchè forse la guerra l'hanno persa ma la dignità nazionale no, quella non ha prezzo e non si deve perdere mai. E lo dimostrano ad ogni occasione. Che sia una partita o che sia l'arresto del generale Mladic da parte del tribunale internazionale, corredato per giorni dagli scontri dei suoi sostenitori contro il governo, che portarono a 400 arresti in poche ore.
E allora in questa Italia che si stupisce di ciò che avviene al di là dell'Adriatico, io sto con i Serbi, sto con la trincea d'Europa, sto con chi si è asserragliato sul fronte dell'essere, perchè non crede alla libertà occidentale, ai venditori di democrazia, all'industria del mercato, alla globalizzazione e ai tribunali internazionali. Sento che c'è un filo rosso che collega Belgrado a Roma '43 e Berlino '45 in una battaglia ideale ben più alta di quella del piombo contro i russi o dei sassi contro la polizia.
In quest'Italia che si stupisce di cose talmente banali e scontate, lo scorso Ottobre Ivan Bogdanov è riuscito ad entrare nei salotti bene dell'italiota medio. Per invitarlo a riflettere ha dovuto sottrargli la sua partita in tv, farsi riempire di insulti ("ma dimmi se si deve rinviare una partita per questi teppisti?"), e mandare in frantumi tutte le nostre certezze. Ridicolizzare Maroni e la polizia italiana da solo. Ricordargli che mentre loro discutono della tessera del tifoso, lui, se vuole, allo stadio ci entra con le tenaglie e se ne frega di tutto. Ha dovuto farci sentire ridicoli mentre la squadra serba andava sotto il settore con le tre dita aperte e il telecronista ci traduceva "state calmi sennò perdiamo tre a zero" senza neanche sapere cos'è la Grande Serbia e il suo saluto.
Pochi hanno capito che i tifosi e patrioti Serbi volevano approfittare della vetrina internazionale, dell'Italia e dei suoi trascorsi calcistici, dell'alleanza Nato per ricordare al mondo che il Kosovo è Serbia e che, forse, ci sono delle cause che valgono più di una partita. Non so voi, ma io sto con Ivan e con la Serbia che non ha mollato, almeno idealmente.
Ferruz
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